Il dirigente scolastico oggi
di Stefano Stefanel
La preparazione del dirigente scolastico, prima di essere assunto come tale tramite concorso ordinario o tramite straordinarietà varie o sentenze giudiziarie, verte su due elementi che si contrappongono:
a) la conoscenza teorica e manualistica delle norme del sistema scolastico italiano e la loro declinazione in una struttura perfettamente funzionante dove doveri, obblighi, progetti, controlli e poteri organizzativi si armonizzano in un’idea di scuola come comunità educante coesa e ben inserita nel contesto territoriale;
b)l’esperienza personale fatta come docente quasi sempre impegnato nella gestione della propria scuola, nello sviluppo di progetti, nella organizzazione del microcosmo autonomo che si colloca dentro il proprio istituto.
Appena assunto in ruolo il dirigente scolastico si accorge, invece, di due cose diverse:
a)la teoria non coincide con la pratica, perché l’autonomia scolastica ha reso il sistema, in quanto tale, illeggibile e dunque ogni scuola ha una sua chiave di lettura;
b)l’esperienza pregressa si manifesta subito come un elemento negativo, perché le procedure di una scuola difficilmente si adattano ad un’altra scuola, magari di ordine diverso.
Anche le attività formative in atto per la dirigenza non permettono di supportare l’ordinario, perché si riferiscono comunque a modelli coerenti e generali, mentre la coerenza e la generalità di ogni istituzione scolastica vanno verificate sui fatti. E, infatti, il “fatto” è l’elemento che caratterizza la dirigenza scolastica oggi: quando, come, dove, perché e se avviene un dato “fatto” è, però, del tutto imprevedibile.
Dentro questa incertezza si insinua anche la confusione nata dalla contemporanea presenza nell’organizzazione scolastica di un dirigente scolastico dotato di poteri e responsabilità del servizio e di organi collegiali dotati di competenze. I concetti di “poteri”, “responsabilità” e “competenze” non sono sinonimi e ingenerano tutta una serie di complicazioni nella pratica quotidiana, dove l’equilibrio organizzativo della scuola non passa attraverso uno stato teorico, ma solo attraverso una situazione reale. In alcune scuole l’organo collegiale prevale sulla dirigenza, in altre la dirigenza tende a soffocare l’organo collegiale, in altre ancora l’equilibrio è perfetto: chi ha ragione? Impossibile dirlo, perché bisogna analizzare caso per caso.
C’è poi il rapporto con l’Amministrazione dello Stato, laddove gli Uffici Scolastici Regionali vengono percepiti come uffici locali, quando invece sono uffici ministeriali decentrati: mentre gli Uffici provinciali in alcune parti d’Italia vengono chiamati ancora Provveditorati, in altre Uffici scolastici provinciali, in altre Ambiti Territoriali. Il tutto confonde molti dirigenti scolastici, che sperano in aiuti e consulenze da strutture che invece sono di controllo, e che cercano di ottenere, per le vie brevi, quello che per le vie ordinarie non sono riusciti ad ottenere (per lo più docenti e collaboratori scolastici in organico).
Davanti a questa problematicità, che ha spostato la professione dirigenziale da un’azione collegiale delle scuole in accordo con lo stato alla gestione di “fatti” quotidiani o periodici, le strade, che stanno scegliendo la gran parte dei dirigenti scolastici, sono quelle dell’appartenenza, nella speranza che l’appartenenza possa attutire le problematiche. Dunque, la dirigenza scolastica non pare essere interessata alla costruzione di pratiche condivise, ma semmai a quella di raccordi con chi sembra il più forte, quindi il più in grado di dare aiuto. Il problema è che per i dirigenti scolastici le appartenenze sono plurime: vanno dai sindacati di categoria ai sindacati generalisti, dalle associazioni professionali alle associazioni miste, dalle chat chiuse ai gruppi Facebook, dalle conoscenze personali alle appartenenze ideologiche. Tutto questo fa prevalere lo schieramento alla riflessione e, dunque, la categoria si trova esposta a variazioni che generano incertezza e insicurezza quotidiana, dentro l’oscillazione delle collocazioni dell’appartenenza scelta.
Nella gestione odierna la progettualità delle scuole dovrebbe avere più forza dell’ordinarietà e, infatti, le risorse sono riversate sul PNRR, che è una struttura progettuale che non considera l’ordinario come inamovibile. Invece il tentativo di far entrare il vecchio nel nuovo sta creando malessere nella categoria, che si sente oberata dai progetti dello Stato e non tutelata nell’ordinario. Anche perché un po’ tutte le organizzazioni che agiscono nei confronti delle scuole (sindacati, associazioni, uffici) e l’opinione pubblica danno per scontato che il dirigente scolastico si doti di una governance interna di tipo piramidale, funzionale oggi solo alla gestione di un potere fittizio, perché nella realtà attuale non è più possibile gestire in forma ordinata una scuola attraverso strutture piramidali vicarie.
L’idea che il controllo sulla scuola nasca dalla nomina di due collaboratori del dirigente è un’idea che non sta più in piedi e che costringe quest’ultimo a lunghe riunioni con staff riottosi e spesso non in sintonia con il resto del personale. Inoltre, la distanza per lo più irraggiungibile tra le competenze del Dirigente scolastico e quelle del DSGA ha scavato un solco tra quello che un dirigente vorrebbe fare e quello che il DSGA gli permette di fare, chiavi del “tesoro di famiglia” in mano.
La strada della dirigenza scolastica non può essere l’apparente e allettante scorciatoia dell’appartenenza, perché l’unica strada percorribile è quella della competenza: se i dirigenti scolastici delegassero alcuni momenti di rappresentanza a chi ha più esperienza e competenza forse anche dai soggetti terzi (ministero, enti locali, altre scuole, studenti, famiglie, università) potrebbero venire risposte più sensate. Se invece tutto è demandato all’appartenenza e alla domanda fattuale (“oggi mi è successo questo, cosa faccio?”) vedo una strada futura della dirigenza in grande salita, in cui chi sa prima le cose le usa per fregare gli altri, dove le lamentale prevalgono sulla gestione delle criticità, dove le accuse a agli uffici di segreteria e ai docenti sopravanzano le autocritiche personali. Per delegare a chi ne sa di più bisogna però avere il coraggio di riconoscere che ne sa di più e questo è un passaggio molto difficile per un dirigente scolastico, che si vive troppo spesso come un’enciclopedia senza confini. Davanti ad una realtà che cambia anche la dirigenza deve cambiare, mentre vedo in giro tentativi di far finta che non sia cambiato nulla dall’avvento dell’autonomia scolastica: così diventa tutto una prova di forza, che però non interessa a nessuno (chi ha provato a smuovere l’opinione pubblica a favore della dirigenza scolastica, ad esempio sul tema della sicurezza, ha fatto solo un buco nell’acqua). Una dirigenza scolastica non compresa e non aiutata e che non sa creare le sue strutture di competenza e non di appartenenza viene sommersa da ogni notizia imbarazzante che la riguarda. O si lascia l’appartenenza da parte o il destino sarà quello di una dirigenza scolastica di tipo impiegatizio con un basso stipendio e troppi rischi.